Genio in 21 giorni

metodo di studio personalizzato genio 21 giorni

Metodo di studio personalizzato

Il corso Genio in 21 Giorni:
un metodo di studio personalizzato

Lo studio, nel corso del tempo, si è evoluto: è passato da essere un privilegio di pochi fortunati a essere uno strumento fruibile in breve tempo da chiunque anche attraverso vie di comunicazione e informazione come Internet.

Con questo processo di apertura della conoscenza a ogni classe sociale, sorge spontanea una domanda: perché studiare, se con un semplice click si può soddisfare qualunque proprio dubbio senza alcuno sforzo? 

La prima risposta a questa domanda è che la necessità di studiare è parte della natura umana fin dall’antichità.

È stato infatti il desiderio ardente dei nostri antenati di conoscere l’ignoto che ha spinto gli Egizi a costruire le piramidi e i Greci a edificare templi dall’impeccabile perfezione architettonica.

Anche nell’epoca contemporanea, inoltre, troviamo le prove di creazioni dell’uomo realizzate grazie all’ impegno assiduo e intenso di uomini esperti: le recenti scoperte sul nostro Sistema Solare ci dimostrano infatti che la conoscenza umana, basata sullo studio della formazione dell’universo e dei corpi celesti, sta subendo un’accelerata e sta raggiungendo traguardi che solo fino a pochi anni fa erano impensabili.

È dunque solamente studiando che si arriva a comprendere la realtà ed è grazie allo studio che possiamo assistere un progresso costante nella crescita dell’individuo e nel suo modo di percepire la realtà.

Una dimostrazione di questo sono le decine di dipinti di Claude Monet che rappresentano dei covoni di fieno. Attraverso lo studio del pittore sulla luce nelle diverse ore del giorno in varie stagioni dell’anno, Monet ha cambiato il modo di osservare la luce, creando una tecnica che ha rivoluzionato l’arte e ha ispirato anche molti altri pittori.

Ma se quindi studiare fa parte della natura umana e aiuta a comprendere la realtà senza fermarsi all’apparenza, perché molti studenti non provano piacere nello studiare?

La risposta è che lo studio è legato una fatica costante e ad alcune responsabilità, tra le quali impegno, determinazione nel lavoro e la capacità di correlare le materie di studio alla realtà.

Lo studio richiede attenzione e cura, ma molti studenti preferiscono accantonarlo, privilegiando le risposte garantite in pochi istanti dalla tecnologia, rinunciando così a essere parte attiva del processo di progresso dell’umanità.

Ecco perché la nostra mission è far riaccendere la passione per i libri e per l’apprendimento.

Ma come mai, se oggi chiedi a uno studente se gli piace studiare, lui metterà su un espressione tra il dubbioso e lo schifato? 

La colpa è del metodo che usa: gli fa vivere lo studio come un obbligo a cui è costretto, e non come un’opportunità.

Purtroppo il metodo “leggi e ripeti” che tutti noi abbiamo imparato a scuola non è efficace.

La prova? 

Anche se il dato è in miglioramento, uno studente universitario su due, in Italia, finisce ancora per laurearsi fuori corso (Fonte Almalaurea, 2016).

Ma allora come e dove si può imparare a studiare?

La risposta non è semplice e parte da un presupposto: non esiste un metodo di studio che vada bene per tutti, proprio come non esiste una dieta che abbia gli stessi effetti su tutti.

Scoprire il metodo di studio migliore è un tema verso il quale esistono molti pregiudizi e comprensibili diffidenze: ognuno ha le proprie strategie, sviluppate e perfezionate col tempo, e in pochi sono disposti a cambiarle solo perché leggono da qualche parte che non sono produttive o che potrebbero essere migliorate.

Soprattutto negli ultimi anni però sono stati pubblicati libri e studi scientifici sull’argomento, e tutti concordano sul fatto che alcuni dei metodi di studio più diffusi non sono efficaci come pensiamo.

Anche per quanto riguarda le tecniche da utilizzare nello studio molte non sono universalmente efficaci come ci hanno fatto credere.

John Dunlovsky(*1) , un ricercatore della Kent State University ha analizzato circa 1.000 ricerche sull’apprendimento e ha pubblicato uno degli studi più completi sulla questione in cui sostiene che ci sono alcune strategie che sono efficaci per tutti, altre che funzionano solo in alcuni casi, mentre altre non funzionano mai.

Purtroppo quelle più inefficaci in molti casi sono tra le più adottate.

Uno dei metodi di studio più utilizzati dagli studenti è appunto rileggere diverse volte gli appunti o i libri di testo, sperando di ricordarsi sempre più informazioni di lettura in lettura.

Nonostante possa sembrare un metodo sicuro e rassicurante per prepararsi a un esame, secondo diversi studi non è affatto efficace.

Henry Roediger e Mark McDaniel (*2) due psicologi della Washington University che si sono occupati per molti anni di apprendimento e memoria, hanno usato come campione gli studenti della loro Università e hanno concluso che, nella maggior parte dei casi, chi rilegge una seconda o una terza volta un testo non aggiunge conoscenze a quelle accumulate dopo la prima lettura.

Secondo i due ricercatori quando si rilegge per la seconda volta qualcosa lo si fa pensando “questo lo so, questo lo so”.

Perciò, in sostanza, non stai elaborando approfonditamente il testo, né apprendendo più cose. 

Spesso le seconde letture sono sbrigative e pericolose, perché ti danno l’impressione di sapere molto bene la lezione, mentre in realtà ci sono dei buchi.

Ecco perché il leggi e ripeti NON FUNZIONA.

MAI.

Altro punto critico per riuscire a far superare un esame è il modo di prendere appunti.

Dunlovsky ha scoperto che sottolineare frasi sui libri con l’evidenziatore non funziona per tutti gli studenti (*1): se per alcuni è il modo più efficace di ricordarsi le cose sfruttando la memoria visiva, per altri può portare a un apprendimento frammentato e con molte lacune.

Il problema non è ovviamente nella sottolineatura, ma nella capacità di individuare all’interno del testo quali sono i concetti chiave da evidenziare.

Anche lo studio per parole chiave, dice la ricerca di Dunlovsky, è efficace solo in alcuni casi e, se non integrato con altre tecniche, ha pochi risultati sull’apprendimento a lungo termine.

Un altro sistema che può rivelarsi poco produttivo, in rapporto al tempo che richiede, è riassumere in forma testuale i capitoli dei libri di testo.

Dunlovsky dice che spesso questo metodo ha risultati simili alle riletture.

Al posto di leggere e rileggere molte volte le stesse cose, gli studi di Roediger e McDaniel (*2) consigliano di adottare tecniche più stimolanti e varie, come farsi delle domande su quello che si è letto per la prima volta, prendendole direttamente dal testo di studio, se ci sono, o inventandosele.

È utile per verificare quello che non si è capito: accorgersi di non sapere qualcosa e andare a rivederlo è un modo efficace di fissarlo nella testa. Le domande migliori, poi,  sono quelle che prevedono risposte articolate: le cause di un evento storico, per esempio.

Roediger e McDaniel consigliano anche (*2) di provare a fare collegamenti tra le nuove informazioni che si apprendono e quelle più sedimentate che conosciamo bene.

E per ripassare?

Dimentica i vecchi e noiosi ripassi allo specchio. È il miglior modo per perdere tempo e non è sempre vero che aiuta a ricordare.

Infatti non c’è unanimità sull’efficacia di ripetere ad alta voce quello che si è studiato.

Questo vale però soprattutto per le nozioni, come eventi storici, coniugazioni verbali e materie scientifiche. 

Diversi studi (*3) consigliano anche di fare schemi che stimolino la memoria visiva, come le mappe mentali.

Soprattutto, dicono Roediger e McDaniel (*2), è utile provare a compilare le mappe senza consultare i testi, per mettere alla prova quello che si è imparato.

Il  metodo suggerito da Genio in 21 Giorni per realizzare appunti efficaci

Le mappe mentali sono una rappresentazione grafica del nostro pensiero che stimola la memoria e l’apprendimento. Servono ad aiutare la mente a digerire concetti complessi in modo creativo, personalizzato e divertente.

Si compongono di alcuni elementi che le contraddistinguono che sono:

  1. parole chiave
  2. rami curvi
  3. immagini
  4. colori
  5. collegamenti

 

Nascono allo scopo di elaborare e assimilare informazioni – ma non solo – in modo efficace ed innovativo. 

Rispetto alle tradizionali tecniche per “prendere nota”, le mappe mentali sono più armoniche rispetto agli abituali meccanismi di funzionamento del cervello (*3).

Questo però non è l’unico ambito di applicazione delle mappe mentali. 

Sono usate per studiare e apprendere più velocemente e stimolare al massimo la creatività. 

Nascono come evoluzione delle mappe concettuali, con le quali conservano alcune similitudini.

Tra i maggiori interpreti e studiosi di questo sistema di prendere appunti trovo interessante citare Joseph Novak, ideatore della celebre mappa concettuale. 

Nato nel 1932, Novak insegna prima biologia al Kansas State Teachers College, poi dal ’67 fino al ’95 diventa professore di didattica della biologia presso il dipartimento di scienza dell’educazione alla Cornell University.

Tra le sue numerose pubblicazioni, “Imparando ad imparare” del 1984, è l’opera in cui meglio espone la sua opinione riguardo i metodi di apprendimento e i metodi per l’applicazione di idee e strumenti educativi negli ambienti scolastici, aziendali e non solo. 

Novak assume come presupposto il fatto che ognuno di noi è autore del proprio personale percorso conoscitivo all’interno di un determinato contesto. 

Così, partendo da una certa parola chiave, è possibile rappresentare graficamente tutte le conoscenze a essa collegate. 

Tutto ciò è mirato alla realizzazione di un apprendimento legato al significato del testo e alle correlazioni tra diversi contenuti, e non di tipo mnemonico e meccanico. Fare proprie le conoscenze apprese, è un modo per non dimenticarle più, facendole così entrare a far parte del proprio bagaglio culturale.

Alla fine degli anni sessanta, però, il cognitivista inglese Tony Buzan (*3) ha ideato un nuovo strumento di rappresentazione ed elaborazione del pensiero: le mind maps, divenute note in Italia col nome di mappe mentali.

Il mindmapping è una tecnica visuale per stimolare e mettere a frutto le capacità creative personali e di gruppo, le risorse mentali inconsce, i processi associativi spontanei con i quali si ristrutturano le idee, la sovrapposizione di varie chiavi interpretative per comprendere le situazioni.

Il modello realizzativo delle mappe mentali è essenzialmente associazionista: si procede inserendo e ricombinando dinamicamente gli elementi nella mappa, utilizzando una struttura gerarchico-associativa e applicando il processo di associazione mentale. 

In definitiva è quella la differenza più grande con le mappe concettuali, che sono impostate secondo un modello connessionista (sono previsti due momenti distinti: quello dell’individuazione dei concetti e quello della loro combinazione).

Una mappa mentale è un albero che si estende partendo dal centro. Ogni elemento ha sempre e solo un antecedente, cui è collegato mediante un ramo.

Tra coppie di rami della mappa mentale possono essere rappresentati dei rimandi, collegandoli mediante frecce.

Questi legami sono solo essenzialmente note, richiami e commenti ai contenuti della mappa, che invece sono descritti con i rami.

Nella mappa mentale è possibile individuare sotto-mappe, che possono essere consultate sia percorrendo le direttrici gerarchiche centro-esterno sia secondo ideali livelli concentrici, riferiti all’intera mappa oppure localmente ad un certo ramo.

Immagini, colori e testo sono le tre caratteristiche riguardano la struttura di una mappa mentale e aiutano a mettere in relazione le mind maps di Tony Buzan con le mappe concettuali di Joseph Novak. 

Altra importante differenza tra mappe concettuali e le mappe mentali è che in queste ultime c’è un forte impiego di elementi evocativi, che stimolano il processo creativo e la memorizzazione.

Si utilizzano immagini fantasiose, dette visual, costruite con l’obiettivo di creare un’associazione visiva che spesso si basa sul significante e non sul significato della parola e che si presti a colpire e farsi ricordare da chi le consulta.

Anche l’uso dei colori è importante per identificare aree di argomento collegate.

Si scelgono singole parole chiave, collegate e strutturate nella mappa mentale, per sintetizzare ed esprimere i concetti sia sui singoli rami, sia nelle articolazioni dei sottorami.

Una mappa mentale consente dunque una rappresentazione che ha un punto di partenza ma che può estendersi a piacimento verso l’esterno, e connettere progressivamente elementi in modo gerarchico.

La mappa mentale è uno strumento votato alla creatività, alla memorizzazione e all’annotazione in chiave personale. 

Per questo il suo ideatore, Tony Buzan, ha formulato il suo modello incentrandolo sull’evocatività.

Gli elementi devono essere descritti con singole parole chiave e non con periodi estesi, così da lasciare spazio a nuove associazioni e a possibili integrazioni, alla fantasia e all’intuizione.

In definitiva, l’esperienza maturata in anni e anni a fianco di migliaia di studenti ci ha confermato che la mappa mentale è il sistema più efficace non solo per prendere appunti, se si vogliono evitare lunghe, noiose e dispersive sbobinature.

Il fatto di dover ragionare sui collegamenti tra i vari argomenti e l’individuazione delle parole chiave, rende la mappa uno straordinario strumento di studio per uno studente.

La stesura stessa della mappa implica un ragionamento sulle informazioni raccolte nel testo che di certo nessun riassunto fatto copiando frasi o parti di esse in modo automatico potrebbe fornire.

Ma lo studio è fatto da molto più che il semplice ricordo di meri appunti.

Ed è qui che il metodo Genio in 21 Giorni si differenzia da tutti i vari corsi di memoria online e offline che puoi trovare in giro.

Il fatto è che ognuno di noi apprende in modo leggermente diverso l’uno dall’altro.

Quindi, il mito del “metodo di studio perfetto per tutti” è pura utopia.

Studiamo tutti in modo diverso

Non siamo dotati tutti dello stesso tipo di intelligenza (*4)  e quindi non assimiliamo le informazioni tutti allo stesso modo.

Fino alla prima metà del ‘900, si pensava abitualmente, anche negli ambiti accademici, che l’intelligenza fosse identificabile con una capacità comune e misurabile in tutti gli individui, anche attraverso standard e test di valore scientifico.

Gli studi dell’americano Howard Gardner (*4) e la pubblicazione del suo libro Frames of Mind nel 1983 contribuirono a scardinare queste certezze e introdussero al mondo scientifico accademico la cosiddetta Teoria delle Intelligenze Multiple (*4), secondo la quale non esiste una facoltà comune a tutti chiamata intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre.

La Teoria delle Intelligenze Multiple (*4) si basa sul concetto che tutti gli esseri umani possiedono almeno sette forme di “rappresentazione mentale”, cioè sette diversi tipi di intelligenze.

L’intelligenza linguistica: “pensare con le parole e riflettere su di esse”. E’ caratterizzata da una sensibilità per il significato delle parole, per l’ordine fra esse e per le funzioni proprie del linguaggio come convincere, stimolare, trasmettere informazioni e piacere. Tale intelligenza si manifesta con una notevole produzione linguistica, una buona capacità di ragionamento astratto e di pensiero simbolico, ma è, però, anche oggetto di una distinzione fondamentale tra oralità e scrittura. Alcuni alunni, infatti, probabilmente avranno una certa facilità ad apprendere tramite l’ascolto e presenteranno un elevato sviluppo delle abilità di memoria.

L’intelligenza logico-matematica: “pensare con i numeri e riflettere sulle loro relazioni”. Secondo Gardner ciò che caratterizza l’alunno con un’intelligenza “matematica” è la capacità di condurre ragionamenti molto lunghi riuscendo a ricordare i diversi passaggi di cui si compongono. In realtà non si tratta di avere una memoria eccezionale, bensì di possedere un’abilità particolare nel cogliere il senso complessivo delle connessioni che legano le varie proposizioni della dimostrazione. risulta evidente in quegli alunni che possiedono abilità nel comprendere le proprietà di base dei numeri, aggiungendo o sottraendo, nel capire i principi di causa ed effetto e la corrispondenza di valore univoco, nel prevedere, ad esempio, quali oggetti galleggiano, affondano, ecc.., nel riconoscere schemi, lavorare con simboli astratti (ad esempio numeri, figure geometriche, ecc.) e nel cogliere le relazioni o trovare i nessi tra informazioni separate e distinte.

L’intelligenza musicale: “pensare con e sulla musica”. E’ caratterizzata dalla spiccata capacità a riconoscere, ricostruire e comporre brani musicali sulla base del tono, del ritmo e del timbro, tale abilità è collocata nell’emisfero destro del cervello ed è separata dal talento linguistico. Gardner ritiene che uno dei primi talenti che emerge in un individuo sia proprio il talento musicale. Chi cresce con un’intelligenza di questo tipo sviluppata, è abituato ad apprendere attraverso il canto e la musica e trasforma, spesso, ciò che sente in una cantilena o in un ritmo. Possiede, inoltre, capacità come quelle di riconoscere e usare schemi ritmici e tonici, di usare la voce e strumenti musicali, la sensibilità ai suoni dell’ambiente.

L’intelligenza visuo-spaziale: “pensare con immagini visive e fare elaborazioni su di esse”. È propria di chi predilige le arti visive, di chi ha un buon senso dell’ orientamento, di chi non ha difficoltà nella realizzazione di mappe, diagrammi, carte geografiche, modellini e giochi che richiedono la capacità di visualizzare oggetti da angoli e prospettive diverse. Pensare con l’intelligenza spaziale significa pensare per immagini e disegni, avere quella che spesso viene definita una memoria visiva: si ricorda un testo o una parola per la sua collocazione nella pagina del libro. Puzzle, giochi di costruzione e di composizione sono attività privilegiate da chi abbia un’intelligenza spaziale particolarmente sviluppata.

L’intelligenza corporeo-cinestetica: “pensare con e sui movimenti e i gesti”. Si sviluppa attraverso esperienze concrete che interessano tutto il corpo. Chi privilegia tale intelligenza deve fare esperienza, deve agire, e ricorda prevalentemente quello che viene fatto. Sviluppa, inoltre, un’elevata sensibilità tattile e anche una spiccata sensibilità istintiva, ha coordinazione e armonia motoria. In questi casi un allievo che ha sviluppato maggiormente l’intelligenza corporea, impara facendo, ha bisogno di esperienze concrete, di muoversi e di passare le informazioni attraverso il corpo.

L’intelligenza interpersonale: “avere successo nelle relazioni con gli altri”.

Guarda verso l’esterno, al comportamento, ai sentimenti, alle emozioni e alle motivazioni di altri individui (una sorta di capacità di provare “empatia” verso il prossimo). Un alunno con Intelligenza Interpersonale è abile costruttore di relazioni, si fa spesso mediatore in dispute, sa comprendere gli altri, fa prevalere il desiderio di socializzazione e di interazione e, di conseguenza, ha molti amici e coltiva le amicizie, socializza con facilità, cerca attività extra-scolastiche in cui inserirsi, si adatta bene alla vita di gruppo, ama i giochi di gruppo e di società ed è portato a sviluppare empatia verso gli altri.

L’intelligenza intrapersonale: “riflettere sui propri sentimenti, umori e stati mentali”.

Fa riferimento alla conoscenza intima delle proprie pulsioni interne, delle proprie emozioni e moti affettivi; implica la capacità di classificare e discriminare i propri sentimenti, definendoli altresì attraverso un sistema simbolico elaborato (ciò che oggi, approssimativamente definiremmo “Intelligenza Emotiva”). Un alunno con Intelligenza Intrapersonale ha una forte personalità che però non mette in relazione con gli altri, ma che preferisce tenere in isolamento, optando per attività di tipo individualistico: un hobby o un diario, ad esempio. Prevale un senso di sé profondo che induce alla meditazione solitaria. I suoi atteggiamenti privilegiati, dunque, potrebbero essere: mostrare senso di indipendenza, formulare opinioni categoriche, sembrare chiuso in un suo mondo interiore, possedere un profondo senso di autostima, coltivare un hobby personale, non seguire le mode, prediligere il lavoro individuale.

Anche se tutti gli esseri umani possono avere tutti i sette profili di intelligenza, ogni persona è caratterizzata dalla propria particolare “miscela” o “talento” o ancora profilo peculiare di intelligenza. Il prevalere dell’una o dell’altra intelligenza determina, inoltre, il modo specifico e privilegiato di apprendimento di ciascuno. 

Per esempio, gli studenti con disabilità o difficoltà di apprendimento spesso evidenziano deficit nelle intelligenze verbale-linguistica e logico-matematica, ma hanno punti di forza in altre.

Come è evidente, la nozione di intelligenza viene spezzettata in diversi tipi e combinazioni di rappresentazioni mentali, capitale iniziale in possesso dell’individuo fin dalla nascita, che però può essere modificato in relazione alla maturazione, all’esperienza, all’interazione con altre rappresentazioni.

Due aspetti importanti della Teoria delle Intelligenze Multiple sono che tutti possiedono:

  • diverse intelligenze grazie alle quali, cognitivamente parlando, diventano umani. Pertanto ogni insegnante, supponendo che ogni suo alunno possieda queste intelligenze, può scegliere di insegnare rivolgendosi alle intelligenze specifiche, sviluppandole e tenendo conto della loro esistenza nell’uso di materiali educativi significativi;
  • un profilo di intelligenze diverso, in quanto non tutti hanno le stesse esperienze di vita. Ad esempio anche due persone, apparentemente indistinguibili sotto il profilo fisico, possono essere fortemente motivate a distinguersi tra di loro in campi intellettivi diversi.

Il problema di tutti gli studenti, spesso, è di non avere chiara consapevolezza dei propri processi cognitivi e di quale sia il proprio personale rapporto con il sapere.

Gardner ci ha introdotti alle intelligenze multiple, portandoci a riflettere sul ruolo che ogni intelligenza ha nel proprio rapporto con la conoscenza: in un mondo complesso come quello odierno, sviluppare un rapporto con il sapere che si basa sull’utilizzo di più intelligenze, potrebbe favorire l’educazione alla transitività cognitiva, cioè al passaggio da un sapere a un altro in maniera fluida e immediata.

Alla luce di quanto detto, quindi, una domanda risulta inevitabile: come possono gli insegnanti, pretendere che in una classe il rapporto con il sapere venga proposto, guidato, stimolato in modo univoco, secondo schemi basati solo sulla trasmissione frontale?

E come si può favorire la conoscenza e la consapevolezza dei propri stili di apprendimento e di processi cognitivi negli studenti se viene privilegiato un unico canale?

Questo è il problema del metodo di insegnamento che gli studenti sono costretti ad imparare a scuola: non è personalizzato. 

Per molto tempo, negli ambienti educativi, le differenze individuali sono state considerate un elemento di poca importanza, ogni persona veniva trattata come le altre, e questo trattamento sembrava in apparenza corretto.

L’approccio gardneriano si fonda su un metodo diametralmente opposto, ossia su quello che viene denominato istruzione Student-Centred, centrata sull’alunno, in base al quale si cerca di conoscere il più possibile ogni allievo, poi si crea e si utilizza una modalità di insegnamento capace di aiutare ciascuno a imparare il più possibile secondo i modi, i tempi, i ritmi, gli stili a lui congeniali.

Tutto questo si traduce, nella didattica, in un approccio teso a valorizzare le differenti potenzialità di ogni studente, individuabili attraverso un’osservazione sistematica e condotta con criteri e strumenti validati scientificamente, ma sostanzialmente molto diversi dai tradizionali test d’intelligenza.

Una scuola attenta ai bisogni degli alunni in difficoltà, dunque, dovrebbe sapersi adeguare alle differenze degli alunni, soprattutto se disabili, modificando modi e metodologie, strategie, tempi, strumenti, stili, attività, in accordo con quanto affermato da Gardner stesso.

Le implicazioni della Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner, sul piano dell’innovazione e delle applicazioni didattiche, sono svariate e riguardano molteplici campi del processo di insegnamento/apprendimento.

E tu, sai come studi?

Il metodo Genio in 21 Giorni si propone di aiutare lo studente ad individuare il metodo più adatto al proprio stile di apprendimento tramite la profilazione effettuata – tra i vari strumenti – anche con la batteria di test AMOS, elaborato da un team di ricercatori dell’Università di Padova.

Sono molti gli studenti che, pur avendo buone potenzialità di apprendimento, non riescono a realizzarle e valorizzarle adeguatamente. 

La batteria AMOS fornisce a docenti, psicopedagogisti, psicologi scolastici e quanti operano nei settori educativi una batteria per la valutazione delle abilità di studio, degli stili cognitivi e delle componenti emotive e motivazionali dell’apprendimento, permettendo di rilevare i punti di forza e di debolezza delle modalità di studio e di avviare percorsi mirati a promuovere metodi efficaci e a sostenere gli aspetti emotivi e motivazionali dello studente.

Se pensiamo a un buon studente, pensiamo a uno soggetto capace di autoregolazione, cioè uno studente che sa organizzare le proprie risorse, che utilizza strategie profonde di elaborazione del testo, che valuta importanti la strategia del ripasso e l’auto-valutazione, per prepararsi adeguatamente a una prova. È flessibile, cioè sa quando e come utilizzare le diverse strategie di studio, a seconda degli obiettivi, della materia e del tempo a disposizione. 

È uno studente intrinsecamente motivato, che persegue specifici obiettivi di apprendimento, ha fiducia nelle proprie abilità di studio e sa gestire efficacemente la propria emotività, affrontando con sicurezza anche le situazioni più impegnative (*5) De Beni e Moè, 2000; De Beni, Moè e Rizzato, 2003. 

Generalmente pensiamo che gli studenti universitari o che frequentano gli ultimi anni della scuola secondaria posseggano questo bagaglio consolidato di strategie efficaci e di abitudini funzionali allo studio. 

Tuttavia, chiunque lavori con questi ragazzi sa che spesso non è così e che anche gli studenti con maggiore esperienza scolastica possono avere delle difficoltà legate al metodo di studio e agli aspetti emotivo- motivazionali. 

Questo può essere dovuto a più fattori: acquisizione e consolidamenro di abitudini di studio poco efficaci, perdita di fiducia in se stessi e di interesse per lo studio per le difficoltà via via incontrate nei diversi livelli scolastici (ad esempio, nel passaggio dalla scuola secondaria all’università), insufficiente auto regolazione (organizzazione, elaborazione e autovalutazione non adeguate), scarsa flessibilità nel metodo di studio (*6) (De Beni, Trentin e Rizzato, 2008).

In questo panorama è sicuramente utile poter disporre di strumenti che permettano di valutare sia le abilità sia le componenti emotive e motivazionali dello studio, entrambe fondamentali per un percorso di apprendimento efficace e soddisfacente. 

La batteria AMOS-NE (*7) (NuovaEdizione; De Beni, Moè, Cornoldi, Meneghetti, Fabris, Zamperlin e De Min Tona, 2014)  si compone di prove oggettive di studio, questionari di autovalutazione sulle abilità e sulle strategie e questionari sugli aspetti emotivi e motivazionali offre una valutazione articolata degli aspetti critici che possono favorire o, al contrario, ostacolare un buon approccio allo studio.

Tutte le variabili indagate nella batteria AMOS sono state scelte sulla base di un modello metacognitivo che evidenzia come le componenti emotivo-motivazionali siano in grado di influenzare I’uso delle strategie e la capacità di autoregolazione, che a loro volta incidono direttamente sull’esito della prestazione (*8) (si veda ad esempio Cornoldi, De Beni, Zamperlin e Meneghetti, 2005). 

Questo insieme di aspetti emotivo-motivazionali e stili cognitivi influiscono sul modo in cui lo studente si approccia allo studio, modo che include i comportamenti autoregolati messi in atto durante lo studio stesso. Essi interagiscono con la dimensione più specificamente strategica dello studente, nella quale si distinguono:

  1. conoscenza strategica, che si riferisce alla conoscenza delle strategie e della loro utilità;
  2. processi di controllo, che si riferiscono all’uso effettivo che lo studente fa di queste strategie;
  3. coerenza strategica, che fa riferimento all’armonica corrispondenza fra giudizi di utilità ed effettivo uso.

Questo insieme di aspetti influisce sulla prestazione di studio come, ad esempio, in un compito di fine corso o a un esame orale. 

Il feedback sulla prestazione, poi, può avere una ricaduta sugli obiettivi di apprendimento, sull’ansia, sulla resilienza e sulla percezione delle propri e capacità, creando così un circolo vizioso o virtuoso ai fini dello studio.

Il corso Genio in 21 Giorni offre allo studente una valutazione gratuita del proprio metodo di studio e un successivo servizio di tutoring personalizzato dove, in 7 appuntamenti 1 a 1, lo studente imparerà come sfruttare al meglio le strategie di studio apprese al corso, in base al proprio stile di apprendimento.

NOTE:

(*1) https://journals.sagepub.com/stoken/rbtfl/Z10jaVH/60XQM/full

(*2) http://www.amazon.com/Make-It-Stick-Successful-Learning/dp/0674729013

(*3) https://www.amazon.it/mentali-utilizzare-strumento-straordinarie-organizzare/dp/8833620174/

(*4) https://www.amazon.it/Formae-mentis-Saggio-pluralità-dellintelligenza/dp/8807882590/

(*5) De Beni e Moè, 2000; De Beni, Moè e Rizzato, 2003

(*6) De Beni, Trentin e Rizzato, 2008

 (*7) NuovaEdizione; De Beni, Moè, Cornoldi, Meneghetti, Fabris, Zamperlin e De Min Tona, 2014

(*8) Si veda ad esempio Cornoldi, De Beni, Zamperlin e Meneghetti, 2005

Breve bibliografia:

  • Armstrong T., (1994), Multiple Intelligences in the classroom, Alexandria
  • Claire G., (2004), Sei più intelligente di quanto pensi? Oltre 150 test per scoprire e utilizzare al meglio la tua intelligenza naturale, L’Airone Editrice
  • Bellanca J., Chapman C. e Swartz E. (1994), Multiple assessments for multiple intelligences, SkylightsPublishing
  • Calovi C., Traduzione italiana (2003), Multiple intelligence for every classroom. Tratto da «Intervention in School and Clinic», vol. 39, n. 2, Pubblicato con il permesso dell’Editore.
  • Canevaro A., Ianes D., (2003), Diversabilità, Storie e dialoghi nell’anno europeo dei disabili, Trento, Erickson
  • Cardona P., (2001) Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue, UTET Università
  • De Beni R. et al., (2001)Psicologia cognitiva dell’ apprendimento. Aspetti teorici e applicazioni, Trento, Erickson
  • De Feo L., Elia M. et al. , (2013), Le Attività di sostegno didattico, Napoli, Edises
  • Iaccarino C. (a cura di), (2009), Le intelligenze multiple: teoria e applicazioni didattiche
  • Ianes D., Macchia V., (2008), La didattica per i Bisogni Educativi Speciali, Trento, Erickson
  • Gardner H., (1983), Frames of Mind: the Theory of Multiple Intelligence
  • Gardner H., (1991), Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell’educazione, Feltrinelli
  • Gardner H., (1993), L’educazione delle intelligenze multiple. Dalla teoria alla prassi pedagogica, Anabasi
  • Gardner H., Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, (2002), Milano, Feltrinelli
  • Gardner H., (2005), Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson
  • Kagan S., (2001), Multile Intelligences: The complete IM Book
  • Mariani L., Pozzo G. (2002), Stili, Strategie e Strumenti nell’ Apprendimento linguistico, Firenze, LaNuova Italia
  • Nicolini P. (a cura di), (2002), Intelligenze in azione. Osservare il bambino nella scuola dell’infanzia, Hoepli
  • Pavone M., (2014), L’inclusione Educativa, Milano, Mondadori Università
  • Scurati C., (2000), Tecniche e significati. Le linee per una nuova didattica formativa, Vita e Pensiero
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