Lettera a cuore aperto di una giovane sognatrice: Perché non devi studiare medicina

Ecco come ho smesso di rassegnarmi, ho rinunciato a un sogno non mio e ho preso la mia strada

“Bene ragazzi, ma voi studiate al classico, voi siete l’élite culturale del nostro paese, voi non finirete a lavorare in un supermercato qualsiasi, voi finirete in quelli dove alla cassa vi imbustano i sacchetti.”

È iniziato così, il tormento di “cosa faccio all’università” ed in queste righe voglio raccontartelo tutto.

Era il professore di latino e greco quello che mi ha detto questa frase, e che lui fosse frustrato, arrabbiato, o detestasse il suo lavoro, a me non interessa, ciò che so è che era un professore, e il suo scopo non poteva essere quello di uccidere il mio morale, pugnalare le mie speranze e lasciarmi lì confusa.

Il 2008 però è stato un casino, me lo ricordo bene, ero in quarta superiore, di un liceo classico appunto, quando le persone in America hanno iniziato a sedersi su scatole di carta con dentro la loro vita.

Li vedevo al telegiornale, piangere, raccogliere dentro del cartone tutto quello che avevano, li guardavo mettere le foto dei loro bambini accanto a una pianta grassa tenuta sulla stessa scrivania per tanti anni…

Li guardavo e non capivo, pensavo che fosse l’America quella in crisi, perché tutti qua gridavano alla crisi, al fallimento, e via dicendo?

Non sono stupida, Max, non lo sono affatto, non voglio essere presuntuosa, ma ho un cervello niente male, innegabili problemi di autostima, un’inerzia che andrebbe cancellata dalla faccia della terra, una pigrizia che mi lega al divano per ore, ma non sono stupida, anzi.

Eppure, quel giorno qualcosa mi sfuggiva, la finanza internazionale non era il mio forte.

Ho capito solo quando ho visto le aziende chiudere, i cancelli di piccole imprese italiane sbattere, ho capito quando ho visto mio padre tornare a casa senza lavoro, e mia madre provare ad andare avanti a pugni serrati, senza fermarsi mai, anche con 3 mesi di arretrati nello stipendio.

Lì ho capito, non era solo l’America, era anche roba nostra.

Ora immagina, Max, immagina una ragazza che ha 18 anni, che entra a scuola per affrontare il suo ultimo anno di liceo, che si prepara per la maturità e che vede la sua vita davanti a sé, immaginala alta, con un bel sorriso, un caschetto castano in testa, dei modi gentili e una voce dolcissima.

Immaginala un po’ casinista e incasinata, che ama leggere e si distrae sempre, con la testa rivolta verso il cielo, o abbassata in un libro, che abbraccia con gioia, ed è entusiasta sempre e comunque, anche quando si trova a nascondere un’ombra di tristezza, sempre.

Ecco, immagina che effetto possono avere su di lei quelle parole “bene ragazzi, ma voi studiate al classico, voi siete l’élite culturale del nostro paese, voi non finirete a lavorare in un supermercato qualsiasi, voi finirete in quelli dove alla cassa vi imbustano i sacchetti”.

Eppure, sembrava che quello fosse il mio futuro, un supermercato, e non c’è niente di male in questo, non fraintendermi Max, ho lavorato come cassiera e non ho mai avuto di che lamentarmi, ma che non ci fosse alternativa per noi, beh quello mi distruggeva.

Avevo studiato i più grandi autori della letteratura per anni, avevo respirato Ovidio, mangiato Saffo, e odorato Shakespeare e tutto quello che mi sarebbe rimasto erano mozzarelle al chilo, 3 etti e 4 di prosciutto crudo nel vassoio, e buste plasmon da passare a suon di “Bip” davanti a me?

Non era giusto.

“Ma ragazzi è una bella cosa, quando ero giovane io ho faticato a convincere i miei genitori che lettere classiche fosse la scelta giusta, perché a chimica avrei trovato più lavoro, ma per voi non ce n’è da nessuna parte, quindi fate ciò che volete”.


Non è giusto.

Non si spezzano così le ali di una ragazza, anche se è pigra e non è un genio di certo, anche se ama il divano oltre misura, anche se sogna un po’ troppo ad occhi aperti, chiusi, o a metà.

Non è giusto.

E così ho fatto anche la maturità, con la tranquillità di chi tanto se la cava sempre, senza eccellere mai, di chi alla fine un voto mediocre lo porta a casa, senza tanta fatica, ma più di quello non fa, non ha voglia di fare e va bene così.

Ho preso il mio 78 alla maturità senza troppa convinzione e sono partita per Parigi, per alimentare ancora un po’ il mio spirito sognante, la mia voglia di leggere in riva alla Senna e l’idea stupida e per niente originale di scrivere un romanzo e vivere di vino e speranze.

Bene, ora però non si scappa, ti sei riposata, ti sei divertita, tutto bellissimo, ma cosa diavolo studi all’università?


La risposta era sempre un misto di dubbi, incertezze, birre con gli amici sui navigli di Milano, e un romanzo di Dickens.

Tutto molto bello, ma era agosto e la questione non accennava a sparire, le parole del mio professore continuavano a rimbalzarmi in testa, i dubbi sul futuro non accennavano a smettere.

Intorno a me tutti prendevano la loro strada, belli convinti, tutti stabilivano con l’iscrizione all’università che avrebbero costruito palazzi, insegnato storia alle generazioni future, lavorato nell’industria chimica, lavorato come traduttore in giro per il mondo.

E io rimanevo lì, con la mia birra in mano, a chiedermi cosa diavolo avrei fatto il giorno dopo.

E così è iniziato l’anno accademico, tutti i miei amici erano carichi, felici, entusiasti, e io avevo deciso che per evitare di scegliere avrei preso un anno sabbatico.

Insomma, da una parte c’erano i sogni stupidi di una ragazzina ingenua ma consapevole, dall’altra le parole di quel professore di greco, e in tutto questo non riuscivo a rispondere a una semplice domanda:

cosa voglio fare da grande?


Non lo sapevo e così sono finita a servire ai tavoli di una Steak House in cui insulti ai dipendenti, mobbing e lavoro in nero sottopagato di certo non mancavano.

I miei colleghi avevano scelto quella vita, io c’ero finita per caso, e mi vergogno a dirlo, ma di lì in poi è andato tutto peggio, mi sono fatta prendere dal momento, mi sono fatta trasportare dalla compagnia.

Nei rari giorni in cui lavoravo meno di 10 ore, mi tenevo impegnata con uscite con gli amici e qualche birra, evitavo le persone che stavano andando in un università, evitavo di chiedere com’era quel mondo, come si trovavano, com’era studiare cose stimolanti, e non anestetizzare tutto con un paio di birre.

Me lo ricorderò sempre, stavo appoggiando un piatto sporco su un tavolo, il dito mi era finito nella salsa rosa nella quale ragazzini sovrappeso pucciavano le patatine, ma io non me n’ero accorta, vedevo solo una mia amica di vecchia data sedersi al tavolo con il suo ragazzo, lo zaino dell’università sulle spalle, e il sorriso di chi sta portando avanti i suoi sogni.

E io invece? La mia più grande preoccupazione era non dimenticare che le due birre medie andavano al 109, l’hamburger al 63, le tagliate ben cotte al 45.

Finito il turno ho piegato con cura il grembiule e ho dato le dimissioni.

A questo punto della storia dovrei dire che da lì ho capito tutto, da lì è andato tutto bene, mi sono messa sui libri, ho deciso di entrare a logopedia, ho studiato giorno e notte per passare il test, con metodo, organizzata, e sono andata dritta verso l’obiettivo.

Ho fatto un po’ fatica all’inizio perché non ero molto portata per le materie scientifiche, e a quel punto ho conosciuto Genio in 21 Giorni, i miei risultati sono migliorati moltissimo, ho eliminato l’ansia che mi tormentava e ora sono a un passo da aprire il mio studio, tutto grazie al metodo di studio più efficace in Italia.

Ma non è la mia storia purtroppo.

Ho conosciuto Genio molto tempo dopo aver fallito quel test di ingresso, già l’ho fallito, ma è stata una fortuna, avevo scelto quella facoltà solo per non finire a fare la cassiera e vivere accompagnata da un “bip” in sottofondo che mi ricordasse ad ogni pacchetto di patatine che mi ero arresa.

Quello che mi ha permesso di fare Genio in 21 giorni non è entrare in una facoltà per ottenere un posto di lavoro assicurato come il mio simpatico professore si augurava per me, ma è fare esattamente ciò che voglio, senza ostacoli, non pensare mai che sono troppo impegnata, non fermarmi mai, imparare tutto ciò che mi serve senza esitare nemmeno un secondo.

Se tornassi indietro nel tempo con questo strumento non cercherei di passare quel test, ma ci andrei comunque in quella stanza e inizierei a urlare a tutti di iscriversi a Genio, di non preoccuparsi se non ce la fanno, ed è uno su 6 che non ce la fa, di trovare la sede più vicina e fare il corso.

Poi uscirei dalla stanza e affonderei il naso in uno dei miei libri, perché Genio ha cambiato tante cose, ma non la mia voglia di sparire dentro un romanzo.

Forse ho esagerato con la lunghezza di ciò che ho scritto, ma era solo per dire grazie, grazie di aver cancellato la paura che quel famoso professore aveva messo in me.

Mi sono laureata poche settimane fa, e non ho paura di quello che succederà ora, perché so che supererò qualsiasi cosa, che qualsiasi requisito sia richiesto lo potrò acquisire, e che parlare 4 lingue è solo l’inizio per me.

Grazie per avermi fatto capire che serve fare di più, che la crisi esiste ma può essere sconfitta, che la mia inerzia può essere cancellata organizzandomi nel modo corretto, che posso continuare a fare volontariato, perdermi nei pensieri e leggere tutti i libri che voglio senza rinunciare a una buona media universitaria e a frequentare corsi in parallelo che mi consentano di essere interessante per gli occhi di un’azienda, anche se non ho studiato chimica, matematica, ma lingue e letterature straniere.

Insomma, grazie.”

Quando ho letto queste parole mi sono commosso e ho sorriso, inevitabilmente.

Non c’è niente da fare, le difficoltà esistono, non sono poche anzi, i problemi sono dappertutto e la scelta di superarli o arrendersi è sempre e solo tua.

C’è chi grazie a Genio ha superato il test di medicina, di fisioterapia o di qualsiasi cosa volesse fare, ma il punto come ha detto Federica in questa lettera non è entrare in una facoltà medica per trovare lavoro, ma fare quello che vuoi, sempre e comunque, seguendo il tuo personale sogno.

Rossella per esempio è entrata a medicina grazie alle tecniche imparate, quello era il suo sogno e ha raggiunto l’obiettivo.

Sta tutto lì, scegliere l’obiettivo e fare tutto ciò che puoi per raggiungerlo.

Se anche tu brami arrivare alla tua meta personale, senza sacrificare ogni cosa per farlo, allora vai su www.genioin21giorni.it/corso/ e scopri come altri 41 mila studenti hanno ottenuto ciò che volevano grazie a un metodo in grado di darti quello che ti serve per superare le difficoltà che la crisi ci ha messo davanti.

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