Genio in 21 giorni

Fake News

La pianta delle Fake News cresce solo su terreni fertili

Il problema 

A volte la digitalizzazione – che pure ha cambiato in meglio la vita quotidiana di tutti noi – ha anche ingigantito vecchi problemi. È il caso delle “Fake News”, considerate uno dei più grandi grattacapi del nostro tempo. 

Il più delle volte sorridiamo pensando a chi ritiene l’allunaggio del 1969 una messa in scena con la regia di Stanley Kubrick; come anche quando pensiamo a chi afferma, nell’era di Google Maps, dell’Intelligenza Artificiale e di SpaceX, che la Terra è certamente piatta. Tuttavia c’è poco da ridere quando la confusione coinvolge notizie che possono influire direttamente sulla salute di un individuo, di un’azienda o addirittura della politica di uno Stato. E questo, come scopriremo, ha anche a che fare con il dilagare dell’analfabetismo funzionale.

La diffusione del fenomeno in Italia

Per inquadrare la diffusione del fenomeno è utile guardare dei dati. Secondo il Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”, rilasciato nel 2023, il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. 

Ancora più preoccupante è che il 29,7% nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti che poi le fanno passare come false.

Ovvero, quasi 1 italiano su 3 non solo non sa come difendersi dal problema, ma non è neanche convinto che esso esista: un po’ di complottismo, quindi, dà sapore a questo piatto altrimenti indigesto.

Da dove nascono le fake news

Viene allora spontaneo chiedersi da dove nasca questo fenomeno, al fine di comprenderlo alla radice e mettere in atto delle soluzioni efficaci. L’analisi non è banale, poiché coinvolge concause differenti. 

Da quel che è emerso dalle ricerche effettuate dal team di ricerca Saper Capire, coordinato dal dott. Massimo Arattano – Primo Ricercatore del CNR del Piemonte – una causa importante potrebbe appunto essere l’analfabetismo funzionale, condizione diffusissima nel nostro Paese, di cui abbiamo parlato altre volte, e spiegata da Wikipedia come segue:

Mentre una persona completamente analfabeta non è in grado di leggere o scrivere, una persona funzionalmente analfabeta ha una padronanza di una base dell’alfabetizzazione (può leggere e scrivere, esprimersi con un grado variabile di correttezza grammaticale e di stile, e svolgere semplici calcoli aritmetici) e riesce a comprendere il significato delle singole parole, ma non riesce comunque a raggiungere un livello adeguato di comprensione e di analisi e a ricollegare contenuti nel quadro di un discorso complesso.

Un analfabeta funzionale si distingue per le seguenti caratteristiche:

  • incapacità di comprendere adeguatamente testi o materiali informativi pensati per essere compresi dalla persona comune: articoli di giornale, contratti legalmente vincolanti, regolamenti, bollette, corrispondenza bancaria, orari di mezzi pubblici, cartine stradali, dizionari, enciclopedie, foglietti illustrativi di farmaci, istruzioni di apparecchiature;
  • scarsa abilità nell’eseguire anche semplici calcoli matematici, ad esempio riguardanti la contabilità personale o il tasso di sconto su un bene in vendita;
  • scarse competenze nell’utilizzo degli strumenti informatici (sistemi operativi, uso della rete, software di videoscrittura, fogli di calcolo, ecc.);
  • conoscenza dei fenomeni scientifici, politici, storici, sociali ed economici molto superficiale e legata prevalentemente alle esperienze personali o a quelle delle persone vicine; tendenza a generalizzare a partire da singoli episodi non rappresentativi; largo uso di stereotipi e pregiudizi;
  • scarso senso critico, tendenza a credere ciecamente alle informazioni ricevute, incapacità di distinguere notizie false dalle vere e di distinguere fonti attendibili e inattendibili.

Proprio su questo ultimo punto, “lo scarso senso critico”, occorre fare una riflessione aggiuntiva. Lavorando da anni con gli insegnanti e i docenti di tutta Italia, possiamo testimoniare quanto loro si sforzino (anche per l’appunto pagandosi corsi privati e impiegando parte del proprio tempo libero per aumentare le loro chance di successo nella propria missione) per aiutare gli allievi a sviluppare proprie idee e un proprio pensiero critico, ingredienti fondamentali per permettergli di esprimersi in tutte le loro potenzialità.

Non stupisce dunque, tornando al Rapporto di prima, che buona parte dei “negazionisti delle bufale” abbia un basso livello di scolarizzazione (il 40,4% di loro ha al massimo la licenza media).

Orientando dunque il discorso alle soluzioni, possiamo affermare che una maggiore cultura e una riduzione dell’analfabetismo funzionale possano tutelarci molto dalla disinformazione. Bisogna, detto in altre parole, allenarsi a “saper capire”.  

Quando le fake news vanno in loop

Immaginate di avere davanti a voi un appezzamento di terra coltivato. Un metro quadrato, non di più. Con tante piantine diverse.

Se voi sapeste riconoscere chiaramente la pianta che state coltivando, non avreste difficoltà a scovare ed eliminare eventuali erbacce cresciute lì per caso, giusto? Ma immaginate cosa accadrebbe se non foste così abili a distinguere una pianta dall’altra: potreste coltivare erbacce per settimane o anche “sradicare” il lavoro buono di mesi! Questa è un’analogia efficace per spiegare il fenomeno delle fake news.

Ora vi chiedo uno sforzo aggiuntivo, attingete al vostro pollice verde e seguitemi nel ragionamento. Un buon contadino, eliminata la vegetazione “di troppo” fa tornare la coltivazione a uno stato ottimale: solo terra e piante desiderate. Qualora spuntassero altre erbacce, per lui non sarà più complicato di prima riconoscerle e sradicarle.

Qualora invece il nostro contadino non fosse così sicuro delle sue conoscenze botaniche, non solo ad una prima ondata di piante infestanti farebbe qualche danno, ma all’arrivo di nuove erbacce si ritroverebbe – intervenendo – a peggiorare ancora la situazione, creando ciclicamente danni sempre più gravi, fino a compromettere del tutto il suo lavoro.

Questo è – appunto – quello che succede quando le fake news vanno in loop. I problemi – ai danni dei malcapitati – continuano a moltiplicarsi nel tempo anche se la notizia falsa o mal riportata alla radice è sempre la stessa.

Nel concreto, quello che succede è che una notizia non verificata viene messa in circolo da qualcuno che non è stato sufficientemente responsabile da indagarne le fonti e non viene adeguatamente vagliata dallo spirito critico del lettore; che a sua volta, il più delle volte in buona fede (come già detto si tratta di analfabetismo funzionale, non di cattiveria) fa circolare ancora di più la notizia. Un cortocircuito. Un loop al grido di “Io nel dubbio l’ho condivisa, vedete voi se è vera”.

Quando le fake news fanno comodo  

Va detto, a onor del vero, che il più delle volte questo meccanismo è alimentato inconsapevolmente. Tuttavia ci sono dei casi, più rari, in cui qualcuno potrebbe trarre dei vantaggi dalla diffusione di notizie false.

Senza scomodare dinamiche politiche, (potete facilmente immaginare cosa può succedere in quel campo!) pensate a quanto potrebbe essere conveniente per un’azienda che circolassero informazioni invalidanti ai danni dei propri competitor: l’antica arte di screditare gli altri per valorizzare la propria posizione è una dolce tentazione per chi non ha solidi principi morali.

Così l’argomento fake news si collega anche al delicato ambito delle “Black-PR”, ovvero relazioni pubbliche volte a danneggiare la reputazione di un’organizzazione o di un individuo. Lo spieghiamo meglio attraverso le parole di un esperto, Luca Poma, professore di Reputation Management presso l’Università LUMSA di Roma e presso l’Università della Repubblica di San Marino, che in una sua analisi (https://creatoridifuturo.it/comunicazione/comunicazione-crisi/difendersi-dagli-attacchi-alla-reputazione-sintesi-di-un-programma-di-intervento/) pubblicata qualche anno fa ma sempre attuale scriveva:

  • una fonte occulta diffonde nell’opinione pubblica notizie denigratorie e bugie su una certa organizzazione;
  • tali notizie possono essere totalmente inventate, ma molto più spesso risulteranno in esagerazioni di notizie vere, o in conclusioni artate e distorte che pur prendendo spunto da alcune – poche – notizie vere, le esagerano in modo fazioso, al fine di dipingere scenari nel loro complesso inesistenti;
  • la campagna pone in situazione di forte stress l’organizzazione, che non solo non comprende dove/quale sia la fonte dell’attacco, ma non ne comprende le ragioni. Una campagna di questo genere finisce per minare la business continuity, e per ridurre la capacità dell’organizzazione di fare fatturato e creare valore;
  • prendendo spesso spunto da fatti in minima parte veri, la campagna fa “ritrarre” l’organizzazione, vittima – in buona fede – dei propri stessi sensi di colpa (“Sappiamo di aver sbagliato qualcosa, ma possibile che gli errori siamo stati così gravi?”). L’organizzazione stessa riduce quindi – da sola, incredibilmente – la propria licenza di operare, il proprio raggio d’azione, la propria incisività sul mercato.

Se ci pensate, è un meccanismo molto vantaggioso per qualunque “hater”! 

Ecco quindi spiegato perché – con la piccola spinta di chi vuole marciarci sù – fisiologici errori nella gestione dei clienti (che ogni azienda o professionista al mondo commette, non esistendo la perfezione) diventano “truffe”; l’insoddisfazione di un ex collaboratore, magari passato alla concorrenza, diventa “sfruttamento delle persone; o un ex dipendente allontanato per valide ragioni diventa una “vittima di un sistema corrotto”, e via discorrendo.

Un caso che ci riguarda

Senza andare troppo lontano, possiamo riportare un caso che ci riguarda direttamente. Diversi anni fa, in un momento storico florido per il mondo della formazione in Italia, la nostra realtà ha iniziato a distinguersi per l’innovazione (e i numeri) che generava.

Mentre i corsi di tecniche di memoria spopolavano, il corso Genio in 21 Giorni aveva l’ambizione di rappresentare qualcosa in più. È così iniziato un profondo percorso di miglioramento del nostro approccio, che è passato da collaborazioni eccellenti, ricerche scientifiche che validano in metodo (unica società di formazione in questo settore in Italia che ha pubblicato delle ricerche), e anche da un importante processo di change management aziendale, che ha elevato la qualità dei nostri collaboratori e istruttori, che ad oggi sono formati da un team di ricercatori del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche (https://www.genioin21giorni.it/accordo-fra-cnr-consiglio-nazionale-ricerche-e-genio-in-21-giorni/), l’ente con maggiore credibilità scientifica in Italia. Gli esiti di questi sforzi, per noi e per i nostri clienti, sono stati decisamente positivi.

Certo, in passato abbiamo anche commesso degli errori: una piccola percentuale di nostri corsisti non è stata del tutto soddisfatta dal servizio (come succede per qualunque azienda, più raro è che un’azienda lo ammetta con schiettezza…) e questo ci è stato di forte stimolo per correggerci e migliorarci, perché come non esistono persone “perfette” così non esistono aziende “perfette”. Chi è senza peccato…

Comunque, il successo e l’ espansione della nostra realtà hanno attirato l’attenzione dei media (https://www.genioin21giorni.it/rassegna-stampa/), ma anche dei nostri haters e di chiunque ci volesse attaccare o criticare. È stata così riportata all’attenzione dell’opinione pubblica più volte un’accusa, piuttosto curiosa, che ci era stata mossa più di un decennio fa: qualcuno ci ha accusati, niente meno, di essere una “setta”! Avete presente? Guru, adepti plagiati, lavaggi del cervello, allontanamento dalle famiglie, culti abusanti, tutti vestiti allo stesso modo, quelle cose li… 

Lugubre, suppongo. Ridicolo, nel nostro caso. Ma se pensate di archiviare tutto ciò con una risata, aspettate: perché qualcuno ci ha davvero creduto, e ha anche ritrasmesso la “notizia” (ricondivisione acritica di una fake news, ne parlavamo sopra).

Ebbene, se ci pensate in tantissime aziende le persone che lavorano insieme si vestono in modo simile (basta un abito elegante o una polo con un logo come “divisa” da lavoro), parlano probabilmente lo stesso linguaggio tecnico, o semplicemente aziendale, stanno tante ore alla settimana lontano dalle famiglie (le ore di lavoro)… eppure nel nostro caso questa narrazione distorta ha fatto presa. Perché? Probabilmente, il motivo principale è stato proprio di non aver stroncato sul nascere queste fesserie, e di esserci detti tra noi, internamente: “Lasciamo perdere, chi mai potrà credere a queste cretinate?”.

Tuttavia, basta una piccola spinta per trasformare il “verosimile” in “vero”, una notizia inventata in reale, o quelle – poche – notizie con un fondamento di verità esagerate in modo fazioso, decontestualizzate, manipolate, per rendere poi tutto assolutamente…”credibile”.

Quindi anche noi, realtà aziendale in buono stato di salute e apprezzata dalla grande maggioranza dei clienti, siamo stati dipinti come – udite udite – una “pericolosa psicosetta”. La nostra azienda non è mai stata denunciata da nessuno, non è mai stata indagata dalle autorità, tutte le segnalazioni – rare, per fortuna – di parziale insoddisfazione dei clienti sono state sempre gestite e risolte con successo e con la supervisione di un Comitato Etico indipendente (trovate dei report periodici sul nostro sito web: https://www.genioin21giorni.it/audit-etico/) e negli anni abbiamo stretto collaborazioni illustri e partnership di rilievo, come ad esempio quella con l’Unione Sindacale Italiana Finanzieri (https://www.genioin21giorni.it/partnership/)

Ma poco importa, appunto, quando il lettore non sa distinguere le “piante coltivate” dalle “erbacce”. Ed esattamente come nell’analogia del contadino, questa narrazione fantasiosa e allo stesso tempo agghiacciante, ideata da una manciata di persone in evidente malafede, è stata ripresa più volte negli anni. Da chiunque volesse speculare, dagli stessi haters e perfino – sorprendentemente – da un paio di mass-media. 

E la fake new, come spesso accade nell’era della digitalizzazione, è andata in loop.

Il Ritorno al Futuro

Recentemente, questo loop malefico si è presentato di nuovo: in Spagna (la nostra azienda è presente in 6 nazioni, con oltre 50 sedi) è andato in onda un servizio al telegiornale, su una rete nazionale, che dipinge i nostri colleghi spagnoli come una “setta” (ancora!), sulla base di denunce di “persone che hanno preferito rimanere anonime! (!). 

L’accusa, già curiosa quando ci venne presentata la prima volta, si è quindi riproposta. Da notare che anni fa, stupiti da questa assurda narrazione, ci eravamo sottoposti allo “screening” di uno dei più noti esperti di movimenti settari in Europa, che aveva poi redatto un Report (https://www.genioin21giorni.it/wp-content/uploads/2018/11/Conclusione-EMAAPS-Pepe-Rodriguez-IT.pdf) che non solo escludeva (ovviamente) derive settarie della nostra organizzazione ma ci sollecitava anche a denunciare chiunque lo affermasse. Ma non è servito a nulla, perché il pettegolezzo ha sempre la meglio su dati, informazioni certificate e verità comprovate. È più allettante e goloso, il pettegolezzo. “Vero” per chi non sa riconoscere le fake news; e redditizio per chi, per i più vari motivi, vuole marciarci su, magari avendo un preciso interesse a riguardo: per invidia, per vendetta, per interesse economico essendo un concorrente, o anche solo per guadagnarsi visibilità online. 

Eccoci ora al momento più interessante di questo articolo: ci accingiamo – non vi sorprendete, d’altra parte se siamo una setta… – a predire il futuro. Cosa succederà nei prossimi giorni?

Paul Nigh’s ‘TeamTimeCar.com’ Back to the Future DeLorean Time Machine. Fonte Wikimedia

Compresi i principi descritti sopra, infatti, non servono doti particolari o una DeLorean volante da (la macchina del tempo di “Ritorno al Futuro”, avete presente?) per comprendere ciò che accadrà: qualche nostro hater prenderà il servizio della TV spagnola, lo tradurrà, e lo farà circolare anche in Italia, lo utilizzerà magari sul proprio Blog, lo ricondividerà dicendo “questo è ciò che si dice in Spagna”. Sarà per lui, o per lei, l’ennesima prova di quanto ha sempre affermato: anche se quello stesso servizio ha preso invece spunto dalla narrazione farlocca fatta in precedenza, che quindi già esisteva (il concetto di loop della fake news che vi abbiamo illustrato). 

Ovviamente i link a questo o questi articoli, insieme al link relativo al servizio stesso, saranno messi – da sedicenti esperti o da impavidi “giustizieri della notte”, amanti della verità solo apparentemente senza alcun tornaconto – sotto a ogni commento Social in cui qualcuno avrà un’opinione critica nei nostri confronti, rafforzandola, e continuando ad alimentare il loop.

Potrebbero anche presentarsi scenari più surreali e imbarazzanti sui Social media (fidatevi, è già successo!): “innocenti” domande sul nostro servizio (tipo: “cosa ne pensate del corso Genio in 21 Giorni…?”) postate in gruppi di studenti da profili anonimi a cui rispondono profili fake con opinioni molto negative sostenute da fonti inequivocabili: fiammanti link nuovi di zecca, che rimandano ad un servizio della televisione spagnola. Stiamo contando i minuti, certi che questo, puntualmente, accadrà. 

Dinamiche noiose e scontate, già viste: in grado di ingannare però coloro che non hanno gli strumenti per riconoscere le fake news. 

Cosa interrompe il Loop

Arrivati a questo punto, dopo tanto dissertare tra teoria ed esempi pratici, vi chiederete comprensibilmente se c’è un modo per interrompere il circolo vizioso, riconoscere una fake news e non alimentarla più.

I consigli pratici sono tutto sommato semplici, come ci ricorda anche un documento redatto dal Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo

  1. controllare il contenuto;
  2. verificare la credibilità dell’organo di stampa;
  3. controllare l’affidabilità dell’autore;
  4. la news riporta delle fonti attendibili?;
  5. controllare le immagini (potrebbero essere manipolate);
  6. riflettere prima di condividere;
  7. mettere in dubbio i propri preconcetti;
  8. inizia anche tu a sfatare i falsi miti (cerca di capire i trucchetti di chi fa disinformazione);

Aggiungiamo noi: parla con le persone “accusate”, accedi se puoi ai luoghi che frequentano, contatta e scrivi a coloro che li conoscono; insomma, fatti un’idea davvero con la tua testa, invece di dare per buoni in automatico i pettegolezzi e gli attacchi malevoli tipici del web e dei Social.

Attuare queste buone norme non sempre è così semplice, la questione ha una sua complessità, ma esistono strumenti che la ricerca scientifica ha dimostrato essere utili per sviluppare la cosiddetta “metacognizione”.

Perché la pianta della buona informazione può crescere solo se innaffiata con istruzione e intelligenza, e la gramigna delle fake news ripetute a pappagallo può essere estirpata più facilmente se facciamo nostra una verità: la lotta all’analfabetismo funzionale parte dalla consapevolezza che dobbiamo costantemente allenarci a saper capire, sviluppando il nostro spirito critico e impegnandoci per rafforzare le nostre competenze, consapevoli che così facendo le nostre strutture cognitive potranno reggere meglio l’impatto con qualunque “bufala”.

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